Il popolo li spazzi via
di Marco Pannella
Sono giorni drammaticamente determinanti. Non sappiamo ancora se la CEI oserà fare prima del 12 maggio di nuovo strame di democrazia e di legalità: ma molti prevedono un altro tentativo terroristico contro le coscienze, la libertà religiosa, la Costituzione, la legge penale, lo stesso Concordato. Con la nostra campagna di denunce dei reati e delle prevaricazioni da loro già compiuti intendiamo ammonire i vescovi a non farlo, o il regime potrà salvarli (giuridicamente) solo con l’amnistia già richiesta dai petrolieri corruttori e dai peculatori. Non sappiamo nemmeno se alla colossale campagna di menzogne e di inciviltà, ipocrita, furba e violenta scatenata dal Segretario del Partito di regime, s’aggiungerà anche, come viene previsto, un intervento del Papa, dopo la chiusura della campagna elettorale legale. Continuiamo a non sapere, infine, se proprio alla vigilia del voto il regime non avrà “abrogato” il magistrato Sossi, come “abrogò” i morti della Banca dell’Agricoltura, Pino Pinelli e Feltrinelli.
Quel che sappiamo è che alla tentata violenza dell’abrogazione di un elementare diritto di coscienza si sono naturalmente affiancati strumenti omogenei. La violenza della menzogna, del fanatismo, del tradimento delle leggi fondamentali e della violazione di quelle penali si è pienamente scatenata, senza più pudore o prudenze. Che un “santo uomo” come don Zeno di Nomadelfia possa affermare, ripreso da Il Popolo e dell’Avvenire che “una coppia di divorzisti non è una famiglia come le altre, ma è un umiliante aborto sociale e politico” o, ancora, che “la legge sul divorzio metterebbe in coperchio su di un vespaio universale, sull’infanticidio morale o reale”, non è certo civilmente meno aberrante di quanto un uomo che ha brigato per dieci anni almeno la suprema carica dello Stato, che è oggi il vero capo del regime, è giunto a proclamare, in pubblici comizi: l’essere il “no” del 12 maggio una premessa per “il matrimonio degli omosessuali”, perla d’una lunga collana di pari pregio e qualità. Perfino Almirante ha più stile, è meno fascista di questo individuo, che spera con i “sì” in tal modo strappati di conquistarsi definitivamente i galloni secondo uomo della provvidenza, dopo Benito Mussolini. L’inciviltà, il fascismo di Almirante sembrano una finzione, una scelta in malafede, un calcolo cinico ma debole e scoperto, dinanzi alla naturalezza con la quale questo potente fra tutti, ha mostrato di muoversi in questa squallida e violenta crociata. Tutt’al più Fanfani è quello che Almirante vorrebbe essere, non riuscendoci.
Al segretario della Dc la campagna antidivorzista sarà servita per legare definitivamente a sé, nel quadro del nuovo Stato Corporativo, la più potente e prevaricatrice delle corporazioni italiane: la Chiesa della CEI. Consentendo oltre tutto a questa una dura “normalizzazione” che il suo amletico (ma non troppo) capo esitava a scatenare, con i carri armati delle sospensioni “a divinis” e delle scomuniche morali, dei bavagli terroristici opposti al dissenso dei credenti. Dopo questo confronto, e quale che ne sia l’esito, chiunque in Italia abbia nostalgie o speranze reazionarie, autoritarie e clerico-fasciste avrà riconosciuto definitivamente il suo capo. Fanfani ha oggi fatto il pieno di fascismo e il vuoto di democrazia.
Di fronte a queste aggressioni senza precedenti i partiti “divorzisti” hanno opposto una linea giustificatoria, spesso imbarazzata, reticente, debole. Da quando hanno cominciato la loro campagna milioni di “no” si sono liquefatti. Non poteva essere altrimenti, se si pensa che hanno proposto al paese come “campioni” del “no” all’abrogazione referendaria proprio quanti furono gli alfieri dell’abrogazione parlamentare della legge Fortuna: i Bufalini e Bozzi, Reale e Manca e Carettoni. Dovrebbe ora essere più chiaro a tutti perché abbiamo dovuto, noi radicali e divorzisti, essere “abrogati” e discriminati, proprio noi che contribuimmo in modo determinante a convincere l’opinione pubblica ad un sostegno massiccio del divorzio, senza il quale non vi sarebbe mai stata l’approvazione del progetto Fortuna da parte di tanti laici recalcitranti, paurosi e subalterni. Darci diritto di parola, certo, avrebbe consentito una vittoria ancora più netta e massiccia. Ma è proprio questa che non si è voluto, da parte di coloro che già una volta preferirono lo scioglimento anticipato delle Camere, l’impostura costituzionale del governo Andreotti, e perdere le elezioni, anziché vincere il referendum.
Dinanzi a questa realtà, abbiamo ripreso la parola che ci era stata tolta, per riaffermare per quello che siamo, protagonisti di questo scontro. La campagna di denunce dei vescovi felloni e dei loro reati, s’aggiunge così al potenziamento democratico che abbiamo assicurato alla battaglia divorzista con l’iniziativa degli otto referendum, con la nostra mobilitazione unitaria. Alla prima di queste denunce, L’Osservatore romano s’è già adirato. Ma non gli rispondiamo. Noi non giuochiamo, non ci mettiamo a tavola con i bari. Confidiamo che il popolo li spazzi via.
(16 maggio 1974)